Intervista al professor Roberto Verna
Congressi Internazionali: Perché l'Italia non riesce a decollare
Professor Roberto Verna
Presidente di WASPaLM (World Association of Societies of Pathology and Laboratory Medicine) e di Accademia per la Salute e la Ricerca Clinica; Past President di SIPMeL (Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio), una carriera che conta una decina di congressi internazionali organizzati curandone anche la Segreteria Scientifica, numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Leone d’oro come Ambasciatore d’Italia promosso da Eureka MICE International, il Professor Roberto Verna unisce l’amore per la sua città, Roma, a una decisa vocazione internazionale. Ma, soprattutto, applica una visione fortemente strategica alla sua personalissima passione per l’organizzazione, che proprio ora ha in serbo un importante progetto da realizzare.
Secondo la sua esperienza, cosa spinge un delegato a proporre l’Italia come sede di un congresso internazionale? Nessuno si sobbarca il lavoro per l’organizzazione di un congresso internazionale, con i due anni di impegno che richiede, se non c’è un riscontro: che sia di soddisfazione, visibilità o ritorno economico. Io ora ho la fortuna di poter scegliere di fare solo quello che mi piace, ma quando mi muovo a nome di una società scientifica il mio obiettivo deve essere quello di non mettere a rischio la sua stabilità finanziaria. Ora sto pensando di organizzare il Congresso Mondiale di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio, nel 2025, in Italia, devo solo decidere dove e per questo infatti partecipo ad Association Days.
Eppure il nostro Paese, pur così ricco di risorse, fa ancora fatica a decollare come destinazione internazionale. Quali sono i problemi? Non abbiamo una grande offerta di strutture adeguate vicino agli aeroporti internazionali. Per avere il sostegno degli sponsor, un congresso internazionale deve poter contare su almeno mille partecipanti. Prendiamo una destinazione come Roma. Vi sono molte strutture che andrebbero benissimo, ma poi per raggiungere il centro, in una città così soffocata dal traffico, occorrono ore. Vienna ha un centro congressi per 8.000 persone comodamente collegato con una splendida metropolitana. In centro a Roma c’è la Nuvola di Fuksas? Peccato che lo splendido auditorium da 1.800 posti sia connesso al piano terra da solo due scale mobili e che le altre prevedano rampe equivalenti a tre o quattro piani.
Pensa che la città non sia predisposta per accogliere i congressi? Ho sentito Alessandro Onorato, Assessore ai Grandi Eventi, Sport e Turismo del Comune di Roma, dire una cosa molto intelligente: “Dobbiamo rendere Roma attrattiva. Se c’è un congresso, bisogna farlo sapere a tutto il mondo.” Invece non c’è una comunicazione adeguata. A Roma, Milano, Bologna, si vive il congresso come un fastidio, un elemento in più venuto a disturbare il flusso cittadino, che blocca il traffico se devono passare i pullman dei partecipanti. Invece deve essere vissuto come un valore, un evento che porta denaro, perché il congressista poi gira per la città, mangia, spende, compra qualcosa. È questo il concetto che deve passare.
È vero che in altri Paesi gli eventi congressuali fanno parte integrante della comunicazione verso il pubblico locale, più di quanto non accada in Italia. Ma rispetto al pubblico internazionale, come pensa che ci stiamo muovendo? Beh, una volta esisteva Alitalia, che forse aveva dei problemi, però permetteva collegamenti diretti da Seul, Taiwan Shangai, Hong Kong, San Francisco. Oggi questi collegamenti mancano e non è certo un aiuto per il posizionamento dell’Italia nel mercato dei congressi, dove la durata si conta in ore o mezze giornate e la logistica ha un ruolo strategico.
Quali consigli darebbe a chi vuole organizzare un congresso internazionale nel nostro Paese? Chi vuole organizzare un congresso deve avere perfettamente in testa l’obiettivo e scegliere correttamente a chi affidarne tutta la parte operativa, che deve essere una società unica, possibilmente non coinvolta con altre società afferenti agli stessi sponsor e con notevole forza nei contatti con le istituzioni locali. Una volta tutto era legato alla capacità politica dell’organizzatore, alle amicizie personali che consentivano di ottenere delle facilitazioni; non c’erano organizzazioni locali che lavorassero per dare supporto logistico, finanziario o di comunicazione a un congresso. Ora ce ne sono, per esempio a Venezia, ma il delegato di un’associazione scientifica non le conosce perché non è il nostro mestiere. Il bravo provider invece sì.
E quali canali si possono usare per trovare il partner giusto? Association Days è uno strumento validissimo, chi può non dovrebbe mancare. Fanno un lavoro di una qualità assoluta e di una raffinatezza di grande livello, la dottoressa Marin è una maestra in questo. Soprattutto fanno un grande lavoro di selezione per mettere in contatto le varie realtà: associazioni, provider, strutture. Seguono con molta attenzione l’evoluzione dei rapporti tra le parti per accertarne la validità e il numero di intervenuti è tale per cui, se non sempre si trova magari la congiunzione ideale, qualcosa di buono viene comunque sempre fuori. Mi fido della qualità che garantiscono.
Anna Mocchi
Giornalista e Consulente di Comunicazione
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